Da quella prigione by Marco Belpoliti

Da quella prigione by Marco Belpoliti

autore:Marco Belpoliti
La lingua: ita
Format: epub, azw3
Tags: ebook
editore: Guanda
pubblicato: 2018-03-01T05:00:00+00:00


Forse è solo con un film onirico, deliberatamente soggettivo, che ci si può avvicinare a una verità storica con passo leggero e anche problematico: cercare di capire come sia potuto accadere che per quasi due mesi quattro ragazzi, poco più che ventenni, siano riusciti a tenere prigioniero nel doppio fondo di un appartamento romano il più importante e autorevole politico del dopoguerra, processarlo sulla base di inverosimili procedure rivoluzionarie, stabilire un dialogo fondato su interrogatori, redazione di lettere, appelli ai compagni di partito, e alla fine ucciderlo con spietata freddezza. C’è in tutto questo qualcosa di straordinario e di folle insieme, di sconvolgente e di avvincente, qualcosa che confina appunto con le vaste regioni del sogno, che solo un racconto fondato su visioni, illuminazioni improvvise, accensioni immaginative, poteva restituire.

La follia delle Brigate Rosse può essere raccontata solo con la doppia chiave di normalità e sogno scelta da Bellocchio. Il regista ha usato come canovaccio del racconto il libro Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, la carceriera del gruppo. Ed è incredibile come da un libro così mediocre, rigido, a tratti persino umanamente riprovevole, egli sia riuscito a trarre una materia così pastosa, ricca di accensioni, per quanto la figura di Chiara (alter ego della Braghetti) contenga nel film sempre qualcosa di stereotipato, di irrisolto, come la stessa voce narrante del libro. La ragione di questa riuscita sta tutta nella scelta compiuta dal regista di svolgere il racconto dentro luoghi chiusi: l’appartamento, la biblioteca, il tavolo di lavoro, la camera da letto, la prigione di Moro. Persino i luoghi aperti della vicenda narrata, la tavolata degli ex partigiani, il cimitero, la tromba delle scale, dentro cui avviene l’inseguimento di Chiara e del suo giovane collega, sono luoghi a loro modo richiusi, stanze ulteriori, che sembrano confinare, almeno dal punto di vista onirico, con il luogo in cui è tenuto in cattività Moro.

Quello che non esiste è lo spazio aperto della città: la realtà ci viene infatti restituita in forma sgranata attraverso le immagini televisive (pallidi fantasmi), per quanto anch’esse rechino a noi visioni di luoghi circoscritti: interviste a politici in set televisivi, dentro stanze, interni di chiese. Anche quando la macchina da presa si sofferma sui corpi crivellati di colpi degli agenti della scorta del leader democristiano in via Fani, si ha la sensazione di qualcosa di claustrofobico, come nell’inizio del film con il buio dell’appartamento visitato dai due brigatisti insieme all’addetto dell’agenzia che glielo affitta.

È solo nei luoghi chiusi che si può sognare l’altrove. Questo è quello che accade a Chiara, per quanto i suoi sogni non siano mai sogni di evasione, di libertà, ma incubi ricorrenti, come le immagini struggenti della fucilazione dei partigiani a opera dei militi della Repubblica di Salò tratte da Paisà di Rossellini: i condannati a morte della Resistenza, il cui ricordo è impresso in modo indelebile, come un imprinting, nella memoria di Chiara. Le pagine tratte dal famoso libro edito da Einaudi nel dopoguerra le venivano lette dal padre partigiano durante la sua infanzia.



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